Le bacchette di legno
sono unite come gemelle siamesi, le separo e inizio a mangiare. Riso bianco, sesamo nero. Yoshi mi versa il tè. Non parliamo, quel sussurro liquido è l’unica voce tra noi. Ho comprato del pesce e delle verdure per il nostro pranzo. Fuori una nevicata di petali, l’aria è tiepida. Vorrei aprire le finestre ma gli stridori della città che si sta ricostruendo sono invadenti. E non lasciano che i pensieri si allontanino da ciò che è successo. Vicino, lontano, ma anche dentro di noi. Assaggio le verdure, mi piacciono. Anche il pesce arrostito profuma ed è invitante. Ma Yoshi non ha nemmeno sollevato le mani dalle ginocchia. Mastico, deglutisco. I sapori si sprigionano nella mia bocca, mi sento viva. Yoshi guarda le ciotole davanti a sé, il suo stomaco gorgoglia. È il lamento della fame. Io, invece, continuo a mangiare. Non riesco a condividere la paura che si è avviluppata a lui anche se sento le onde delle sue emozioni rifratte. Un senso di inadeguatezza mi pervade. Beve del tè che non può saziarlo. La contaminazione non ha sapore, ma Loro ci hanno rassicurati e io ci credo.
“Era tutto buonissimo” dice Yoshi allontanandosi da me. Le sue bacchette, invece, sono ancora saldamente congiunte l’una all’altra.
Quando mi sveglio,
la nonna è già inginocchiata accanto al mio letto, pronta a servirmi la colazione. Brodo di miso, pesce e riso. “Te la ricordi la storia di quel paravento?” mi chiede. Non rispondo e lascio che mi racconti ancora di quel pittore viandante che, per ricambiare l’ospitalità della mia famiglia, aveva dipinto per loro. Senza pennelli, usando solo le sue nervose dita di novantenne e il color oltremare, aveva reso quella stanza speciale.
Due giorni fa la terra in città ha tremato, costringendomi a lasciare la mia casa.
Il mattino profuma di legno bruciato, l’odore della mia infanzia. È così strano pensare che un tempo questo luogo fosse quello a me più familiare. L’unico. La stanza dove mi trovo è spoglia, mi fa sentire libera. Anche se, come a Tokyo, manca l’intimità. Ma qui è diverso, prevalgono ombre rassicuranti, i mormorii dei miei familiari. In città, invece, la luce mi scopre tutta. Come una lucciola anch’io ho provato ad accendermi e spegnermi cercando di seguire il suo ritmo.
L’altra me, chiama. È impaziente che Tokyo torni a schiudere i suoi occhi luminosi. Anche se, attratte spasmodicamente da quel bagliore, ci dovessimo bruciare.
Realizzato in 30 esemplari ognuno dei quali contiene un’acquaforte di Adalberto Borioli stampata a mano dall’autore e due racconti di Francesca Scotti. La copertina è realizzata con carta Satogami prodotta da Takeo
Editore: Il Robot Adorabile